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Verso una federazione dell’islam italiano


Passo avanti verso il riconoscimento giuridico della fede islamica in Italia: si và verso la creazione di una federazione dell’islam italiano comprendente tutte le organizzazioni che hanno sottoscritto nel marzo scorso la dichiarazione di intenti che impegna al riconoscimento della natura democratica e pluralistica dello stato italiano e alla formazione di imam che siano rispettosi delle leggi e a combattere le infiltrazioni estremistiche nelle moschee. Tale dichiarazione , che non è stata firmata dall’UCOII, organizzazione storicamente legata ai Fratelli musulmani, costituirà un passo importante verso l’integrazione a pieno titolo dei musulmani nel tessuto sociale italiano se le buone intenzione troveranno un corrispettivo nell’impegno alla loro realizzazione.

Anche il sociologo musulmano Khaled Fouad Allam rileva l’importanza del documento

Quali sono secondo lei le prospettive che possono essere generate dalla presentazione di un documento come la «Carta degli intenti per la nascita di una federazione dell’Islam italiano»?

La cosa principale è che è in moto in Italia, come in altri Paesi, l’idea di una costruzione di un Islam nazionale, che si inserisca pienamente nel panorama del conteso nazionale in cui si trova. Questo, nel caso specificamente italiano, vuol dire una condivisione totale di quella famosa Carta per l’integrazione, o Carta dei valori, che ha sancito di fatto un diverso approccio al problema dell’immigrazione, e alla grave questione della costruzione di un Islam italiano, e non semplicemente di un Islam in Italia, che è cosa molto diversa. Quello che è seguito è che, dopo la Carta dei valori, si è generata una Carta di intenti che mettono le premesse di una futura costruzione di una federazione dell’Islam italiano attraverso un comitato promotore. Si è generato un percorso che deve assolutamente basarsi su ciò che viene sancito nella Carta degli intenti, vale a dire il pieno riconoscimento di quei principi fondamentali che sono legati all’eguaglianza, alla libertà, al rispetto della sacralità della vita e al rifiuto di discriminazioni, spesso palesi nel contesto islamico, dei rapporti fra uomini e donne.

La presentazione ieri è stata fatta alla presenza dell’attuale ministro dell’Interno Giuliano Amato. Tra poco però si insedierà un nuovo governo: cambierà qualcosa, o il lavoro secondo verrà portato avanti?

Certo il contesto attuale è quello della fine di un governo; noi speriamo che il nuovo governo abbia interesse a proseguire in questo percorso. La cosa importante è la presenza, tra i promotori di questa iniziativa, anche dell’onorevole Souad Sbai, che è stata eletta nelle liste del Pdl. Credo dunque che si continuerà questa operazione, magari con metodo diverso, perché ogni governo sceglie il metodo che preferisce; ma quello che conta è che si continui su questa strada. Tutto è ovviamente da costruire, perché queste sono solo le premesse, ma credo che sarà possibile definire un’architettura tale per avere come riferimento un Islam italiano, con spero persone autorevoli.

Con questo documento si parla appunto di Islam italiano: ma è possibile riuscire a identificare e controllare l’intera galassia che gravita intorno al mondo molto variegato dell’Islam?

C’è già stata una soluzione di per sé a questo problema, perché chi non ha voluto firmare la Carta dei valori e la Carta degli intenti si è escluso totalmente da questo processo; questo mi sembra evidente. Certo, firmare la Carta non è ovviamente cosa obbligatoria, però di fatto sociologicamente chi non ha voluto firmare si è automaticamente posto al di fuori di questo processo. Questo ci aiuta a fare chiarezza e ci aiuterà a fare realmente una selezione tra chi ha veramente a cuore un Islam italiano.

Quali sono ora i passi di fare per portare avanti in modo sempre più efficace questo lavoro?

Io credo che si debba prendere a modello la comunità ebraica, dove convivono credenti e non credenti. Questo aiuterebbe molto all’accelerazione del processo in atto. Io credo poi che in questo campo, che è molto delicato, sia necessario il contributo di chi culturalmente sa bene come funziona il rapporto col mondo islamico, cioè quali sono le cose che si possono fare e quelle che non si possono fare. Utilizzerei maggiormente un expertise, magari anche allargando il comitato tecnico-scientifico. In questo settore gli esperti sono indispensabili, perché sono quelli che ci aiutano ad avere una visione di insieme, magari anche con uno scambio di esperienze tra Paesi diversi. Anche se ciascun Paese europeo ha tradizioni diverse, tutti comunque si confrontano su uno stesso tema. Conoscere più da vicino quello che accade in Olanda, Francia, Germania, Inghilterra penso possa aiutare a trovare soluzioni sempre più efficaci.

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